Il prossimo 30 gennaio il tribunale civile dell’Aja si
pronuncerà nella causa intentata da quattro contadini nigeriani contro la multinazionale
anglo-olandese Royal Dutch Shell. L’accusa è di aver inquinato campi coltivati
e corsi d’acqua a causa di fuoriuscite di petrolio. “Hanno ucciso la pesca e distrutto il bosco,
il mio paese è adesso una terra fantasma” dice Eric Dooh, abitante di Goi, uno dei villaggi più colpiti.
E’ il primo caso che vede un processo realizzarsi a carico
di un’impresa con sede centrale in Europa per contaminazione prodotta in un
paese terzo. Un precedente che potrebbe facilitare l’avvio di altri processi
contro altre industrie petrolifere che contaminano fuori del proprio
territorio.
Il Niger è il terzo fiume dell’Africa e il suo delta occupa
70.000 kilometri quadrati. Con 31 milioni di abitanti è tra le riserve naturali
più ricche di flora e fauna del continente africano. Tuttavia a partire dal
1958 vi ha cominciato ad operare l’industria petrolifera dopo la scoperta
di ingenti giacimenti di petrolio da parte dell’allora Shell British Petroleum
(attuale Royal Dutch Shell). Oggi i settori del gas e del petrolio costituiscono
il 79,5% del bilancio del paese, una ricchezza che però non arriva alla popolazione.
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo oltre il 60% della
popolazione locale continua infatti a dipendere per il suo sostentamento dall’ambiente
naturale e vive di pesca ed agricoltura, attività rese oggi pressoché
impossibili dalle devastazioni dell’acqua e della terra prodotte dalla scriteriata
attività delle compagnie petrolifere.
Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, basato su 14 mesi di ricerche e pubblicato nell’agosto del 2011, illustra il devastante impatto dell’inquinamento prodotto
da mezzo secolo di attività petrolifera sulla vita della popolazione del Delta
del Niger.
L’inquinamento -si legge nel rapporto- è penetrato molto in
profondità, più di quanto si poteva immaginare, ed il sottosuolo è avvelenato anche
in zone che in superficie sembrano pulite; almeno 10 comunità bevono acqua
contaminata da idrocarburi e in una comunità la popolazione prende l’acqua da
pozzi contaminati con benzene, noto cancerogeno, ad un livello che supera di
900 volte quella massima stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; l’impatto
del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso, ha lasciato le
piante prive di foglie e steli, con radici rivestite di uno strato di sostanze bituminose
spesso anche un centimetro e più; le perdite di petrolio causano frequenti
incendi che distruggono la vegetazione e la compromettono anche per gli anni a
venire; l’habitat dei pesci è stato distrutto e molti pescatori e chi si
dedicava alla pisci-cultura è stato rovinato da una cappa galleggiante e
permanente di olio; la contaminazione dell’aria derivante dalle operazioni dell’industria
petrolifera colpisce circa un milione di persone…Il rapporto conclude che per
pulire l’area saranno necessari 25 o 30 anni e almeno un miliardo di dollari
che dovrebbero essere erogati dal governo e dalle compagnie petrolifere,
entrambi sotto accusa: il primo per l’inadeguatezza della normativa in materia
di attività estrattiva e le seconde per l’inadeguatezza di controlli e
manutenzione delle infrastrutture petrolifere.
Dell’industria petrolifera nel Delta del Niger fanno parte oltre
alla Royal Dutch Shell e al governo della Nigeria, altre succursali di
compagnie multinazionali quali Eni, Chevron,
Total ed Exxon Mobil.
mg
mg
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