novembre 30, 2012

PALESTINA. Storico ingresso alle Nazioni Unite. Prime riflessioni




Una decisione storica e densa di importanti conseguenze sul piano della politica e del diritto  internazionale quella con cui l’Assemblea Generale ha votato ieri l’ammissione alle Nazioni Unite della Palestina come Stato osservatore approvando il progetto di risoluzione che le era stato presentato da numerosi Stati, per lo più facenti parte del così detto sud del mondo (Afghanistan, Algeria, Argentina, Bahrain, Bangladesh, Bolivia, Brazil, Brunei Darussalam, Chile, China, Comoros, Cuba, Democratic People’s Republic of Korea, Djibouti, Ecuador, Egypt, Guinea-Bissau, Guyana, Iceland, India, Indonesia, Iraq, Jordan, Kazakhstan, Kenya, Kuwait, Lao People’s Democratic Republic, Lebanon, Libya, Madagascar, Malaysia, Maldives, Mali, Mauritania, Morocco, Namibia, Nicaragua, Nigeria, Oman, Pakistan, Peru, Qatar, Saint Vincent and the Grenadines, Saudi Arabia, Senegal, Seychelles, Sierra Leone, Somalia, South Africa, Sudan, Tajikistan, Tunisia, Turkey, United Arab Emirates, Uruguay, Venezuela (Bolivarian Republic of), Yemen, Zimbabwe and Palestine).

Schiacciante la maggioranza dei paesi che hanno votato a favore. Stati Uniti e Israele isolati.

La risoluzione (A/RES/67/19) è stata adottata con una schiacciante maggioranza: 138 gli Stati (asiatici, africani, sudamericani, europei) che hanno votato a favore su 193 facenti parte dell’ONU, tra questi 15 paesi dell’Unione Europea a 27, tra cui i paesi rivieraschi di Italia, Francia e Spagna; contrari solo 9 Stati (Stati Uniti, Israele, Canada, Repubblica Ceca, Isole Marshall, gli Stati federati di Micronesia, Nauru, Panama, Palau); 41 gli astenuti tra cui Germania e Gran Bretagna (vedi nel dettaglio i risultati delle votazioni). Ciò mette in luce un cambiamento dei rapporti di forza nella politica internazionale dopo la fine delle dittature neo-coloniali spazzate via delle rivoluzioni arabe, e dopo l’affacciarsi in tutto il Sudamerica di nuove formazioni politiche che si sono affrancate dallo storico predominio nordamericano.


Perché semplice Stato osservatore e non Stato membro a pieno titolo?

Poiché ai sensi dell’art. 4 della Carta istitutiva delle Nazioni Unite l’ammissione di uno Stato come membro da parte dell’Assemblea Generale avviene solo su proposta del Consiglio di Sicurezza, presupposto quest’ultimo per il momento non realizzabile stante la posizione assunta dagli Stati Uniti che oggi hanno votato contro la risoluzione e che nel Consiglio di Sicurezza vantano (insieme a Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, cioè le cinque potenze uscite vincitrici della seconda guerra mondiale), come è noto, il diritto di veto.
Peraltro, nella risoluzione approvata oggi l’Assemblea Generale esprime l'auspicio che il Consiglio di Sicurezza voglia considerare favorevolmente la domanda già presentata da parte dello Stato della Palestina per l'ammissione come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite (vedi sotto il punto 3)




Importante il contenuto della risoluzione: Palestina Stato indipendente e sovrano, Israele paese occupante.

Il testo della risoluzione contiene affermazioni di notevole importanza sul piano del diritto internazionale anche per le conseguenze che ne possono scaturire: riconosce la Palestina come Stato indipendente e sovrano, ribadisce il suo diritto all’integrità territoriale, qualifica Israele come paese occupante e sottolinea la necessità che quest’ultima si ritiri dai territori occupati e cessi tutte le attività di colonizzazione.
Questi al riguardo i punti salienti della risoluzione (v. il testo integrale in inglese e spagnolo)
“L’Assemblea Generale
(…omissis)
·         Riaffermando il principio, sancito dalla Carta, della inammissibilità dell'acquisizione di territori con la forza;
·         Riaffermando anche le sue risoluzioni 43/176 del 15 dicembre 1988 e 66/17 del 30 novembre 2011 e tutte le risoluzioni pertinenti in merito alla soluzione pacifica della questione palestinese le quali, tra l'altro, sottolineano la necessità del ritiro di Israele dai territori palestinesi occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est, la realizzazione dei diritti inalienabili del popolo palestinese, in primo luogo il diritto all'autodeterminazione e il diritto al suo Stato indipendente, una giusta soluzione del problema dei profughi palestinesi in conformità con la risoluzione 194 ( III) dell'11 dicembre 1948 e la completa cessazione di tutte le attività di colonizzazione israeliana nei Territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est;
·         Ribadendo la sua risoluzione 58/292 del 6 maggio 2004, affermando, tra l'altro, che lo stato del territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme Est, rimane uno stato di occupazione militare e che, in conformità del diritto internazionale e delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite, il popolo palestinese ha diritto all'autodeterminazione e alla sovranità sul suo territorio;
(…omissis)
1.      Ribadisce il diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione e all'indipendenza nel suo Stato di Palestina nel territorio palestinese occupato dal 1967;
2.      Decide di accordare alla Palestina lo status di Stato osservatore non membro presso le Nazioni Unite, fatti salvi i diritti acquisiti, i privilegi e il ruolo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina nelle Nazioni Unite in qualità di rappresentante del popolo palestinese, in conformità delle pertinenti risoluzioni ;
3.      Esprime l'auspicio che il Consiglio di Sicurezza voglia considerare favorevolmente la domanda presentata il 23 settembre 2011 da parte dello Stato della Palestina per l'ammissione a pieno titolo delle Nazioni Unite.
4.      Afferma la sua determinazione a contribuire alla realizzazione dei diritti inalienabili del popolo palestinese e al raggiungimento di una soluzione pacifica in Medio Oriente che ponga fine all'occupazione iniziata nel 1967 e che renda possibile la visione di due Stati: con uno Stato di Palestina indipendente, sovrano, democratico, transitabile e contiguo che coesista in pace e sicurezza la fianco di Israele sulla base dei confini precedenti al 1967;
5.      (…omissis)
6.      Esorta tutti gli Stati, le agenzie specializzate e le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite a continuare a sostenere ed aiutare il popolo palestinese nella realizzazione iniziale del suo diritto all'autodeterminazione;
7.      (…omissis)”

Le conseguenze del riconoscimento della Palestina come Stato e della sua ammissione all’ONU  sul piano del diritto internazionale (Tratto da El Pais).

Tra tutte le conseguenze la più importante è la possibilità per l'Autorità palestinese di deferire Israele al Tribunale Penale Internazionale per presunto genocidio, crimini di guerra o crimini contro l'umanità commessi dalle autorità israeliane.
Il "trasferimento da parte di una potenza occupante di parte della propria popolazione civile nel territorio che occupa" è definito p.es. come un crimine di guerra. Ciò che Israele potrebbe aver commesso creando insediamenti ebraici in Cisgiordania e anche nel settore orientale e arabo di Gerusalemme.
Tre anni fa l'Autorità Palestinese chiese al Tribunale Penale Internazionale di aprire un’ inchiesta per  presunti crimini di guerra commessi da Israele durante la sua offensiva militare Piombo Fuso a Gaza (2008-2009), ma il procuratore sostenne che prima di prendere in considerazione la richiesta gli organismi competenti dell'ONU avrebbero dovuto determinare se la Palestina era uno Stato.
Se si confermasse che il presidente palestinese Yasser Arafat è stato avvelenato, lo Stato palestinese potrebbe chiedere al procuratore del Tribunale Penale Internazionale di aprire un'inchiesta sull'assassinio. Il corpo di Arafat, morto nel 2004, è stato appena riesumato a Ramallah (Cisgiordania).
Con il voto odierno la Palestina non può votare all'Assemblea Generale e presentare candidati per gli uffici delle Nazioni Unite, tuttavia può aderire alle principali convenzioni internazionali e aderire alle agenzie delle Nazioni Unite, come la FAO, l'Organizzazione internazionale del lavoro l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, l'Organizzazione Mondiale della Sanità e così via
Il fatto di votare a favore della Palestina e di riconoscerla come Stato implica, per paesi come ad. es. la Spagna, la Francia o l'Italia, la posssibilità di aprire relazioni diplomatiche col nuovo Stato, trasformare in Ambasciate le delegazioni tuttora esistenti e riconoscere i passaporti rilasciati dall’autorità palestinese.

mg


PALESTINA. Capire la questione palestinese, pagina nera del colonialismo





“Nei primi decenni del secolo scorso inglesi e francesi erano i padroni indiscussi del Medio Oriente. Stati come la Siria e il Libano sono nati sotto l'egida coloniale francese mentre l'Iraq, la Palestina e la Giordania sono stati letteralmente creati dalla Gran Bretagna e sottoposti al suo controllo grazie all'istituto giuridico del 'mandato', lo strumento di legalizzazione del colonialismo inventato dalla Società delle Nazioni. Da loro dipendeva la definizione dei confini degli Stati, la designazione dei leader e delle élite poste ai vertici del potere statale, la modellazione dei regimi politici, con la preferenza normalmente accordata alla monarchie ereditarie. Inglesi e francesi decidevano, con il consenso degli Stati Uniti, sulla allocazione delle risorse naturali della regione, in particolare delle riserve petrolifere che allora cominciavano ad essere scoperte nel Golfo Persico e nel distretto settentrionale iracheno di Mosul. La forza delle due potenze coloniali era tale che anche i governi dei paesi formalmente indipendenti - la Turchia, l'Egitto, la Persia - erano costretti a riconoscere i nuovi confini statali e ad accettare il nuovo ordine mandatario” (così Danilo Zolo, Le radici coloniali del medio oriente).

Alla fine della prima guerra mondiale i territori arabi appartenenti all’Impero Ottomano, uscito sconfitto dalla guerra, furono suddivisi tra Francia e Gran Bretagna mediante il sistema dei mandati istituito dalla Società delle Nazioni. La Palestina fu affidata alla Gran Bretagna (Accordo di Sykes-Picot 1916 ). Il mandato britannico durò dal 1920 al 1948.

Dopo la seconda guerra mondiale, il 29 novembre del 1947, l'Assemblea Generale delle neonate Nazioni Unite (26 giugno 1945) che contavano allora solo 56 stati membri, stabiliva la cessazione del mandato britannico sulla Palestina e adottava la risoluzione n.181 con cui veniva approvato un piano di spartizione del territorio palestinese tra uno stato ebraico (56% del territorio) e uno stato arabo (43%). Dopo aver progettato di costituire la sede dello stato ebraico in Argentina, in Sudafrica o a Cipro la scelta cadde sulla Palestina, in quanto, si disse (Israel Zangwill), “era una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

In realtà non era così. In quel momento in Palestina era presente infatti una popolazione autoctona di circa un milione e mezzo di persone, mentre gli ebrei, nonostante l’imponente flusso migratorio del dopoguerra, superavano di poco il mezzo milione. E così, mentre nel territorio assegnato allo Stato arabo gli ebrei erano quasi del tutto assenti, in quello attribuito allo Stato ebraico gli arabi costituivano la metà della popolazione totale e possedevano ancora la maggior parte della terra. Il piano venne quindi  respinto dai paesi arabi come una violazione del principio di autodeterminazione dei popoli sancito dalla Carta delle Nazioni Unite e diede subito inizio ai conflitti che tuttora persistono, conflitti durante i quali avvenne la graduale erosione anche di quella parte di territorio che era stato assegnato alla popolazione araba dalla risoluzione n.181 da parte delle forze militari dell’autoproclamatosi Stato di Israele (14 maggio 1948), assai meglio armate e equipaggiate.

Durante la guerra arabo-israeliana del 1948 le forze israeliane occuparono ampie zone del previsto Stato arabo. Israele passò così dal 56% dei territori  che le erano stati assegnati dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al 78%. La maggior parte della popolazione araba della Palestina fu trasformata dal conflitto in una massa di profughi: su quasi 900.000 arabi che nel 1947 risiedevano nell'area poi acquisita da Israele, circa 750.000 furono costretti alla fuga, trovando poi rifugio in Cisgiordania, a Gaza e nei paesi vicini.

A conclusione della così detta "guerra dei sei giorni" del 1967, Israele occupò anche il restante 22% del territorio palestinese, annettendosi  illegalmente Gerusalemme-est e imponendo un regime di occupazione militare agli oltre due milioni di abitanti della striscia di Gaza e della Cisgiordania. Il tutto accompagnato dalla sistematica espropriazione delle terre, dalla demolizione di migliaia di case palestinesi, dalla cancellazione di interi villaggi e dall’insediamento di innumerevoli colonie.

Come è noto, complessivamente non meno di 300 mila coloni israeliani oggi risiedono nei territori occupati, in residenze militarmente blindate, collegate fra loro e con il territorio dello Stato israeliano attraverso una rete di strade (le famigerate by-pass routes) interdette ai palestinesi e che frammentano e lacerano ulteriormente ciò che rimane della loro patria.

A tutto questo si aggiunge la costruzione del 'muro illegale' in Cisgiordania, destinato a concentrare la popolazione palestinese in aree territoriali frammentate e dislocate, a rendere irreversibile l'insediamento coloniale realizzato da Israele in territorio palestinese e ad appropriarsi di nuove terre e riserve d'acqua.




Le Nazioni Unite hanno ripetutamente statuito l'illegittimità delle azioni compiute da Israele come contrarie al diritto internazionale guarda l'elenco 
In particolare, con la risoluzione n.242 del 22 novembre 1967, il Consiglio di Sicurezza, in base al principio secondo cui l’acquisizione di territori attraverso la guerra va ritenuto inammissibile dalla comunità internazionale richiedeva a Israele il ritiro dai territori occupati nella guerra dei sei giorni del 1967.
Il 9 luglio 2004, la Corte Internazionale di Giustizia, in risposta al parere che gli era stato sottoposto dall'Assemblea Generale, affermava che: « L'edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l'interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale».
Il 20 luglio 2004, l'Assemblea Generale, dopo aver preso atto del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia adottava la risoluzione ES-10/15 con cui «esige che Israele, potenza occupante, rispetti i suoi obblighi giuridici come essi sono enunciati nel parere consultivo».
Israele, in dispregio agli ordini di giustizia, non ha mai ottemperato alle risoluzioni adottate nei suoi confronti dagli organi che la comunità internazionale, di cui fa parte, ha istituito per garantire la pace e il rispetto delle norme internazionali.

mg
  

novembre 20, 2012

PALESTINA. Striscia di Gaza, operazione "Pilastro di difesa", i raid israeliani compiono strage di bambini



E’ strage di bambini nella Striscia di Gaza colpita da sei giorni dai raid israeliani dell’operazione “Pilastro di difesa”.
Secondo l'UNICEF alle 15 di lunedì risultavano almeno 18 i piccoli palestinesi che hanno perso la vita e 252 quelli rimasti feriti. La preoccupazione dell'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di infanzia è massima:  «A Gaza desta allarme soprattutto la situazione sanitaria - fa sapere l'Unicef Italia in una nota -: gli ospedali sono sovraffollati a causa dell'afflusso continuo di feriti e le scorte di alcuni farmaci si sono rapidamente esaurite. La nostra Supply Division di Copenhagen sta predisponendo l'invio di scorte di emergenza per 14 farmaci di base». Ma l'emergenza non è solo quella medica. «La chiusura del  passaggio di transito di Kerem Shalom tra Israele e la Striscia di Gaza provocherà a breve una penuria di carburante - sottolinea ancora l'organizzazione umanitaria , con gravi conseguenze sul funzionamento dei servizi essenziali già a fine novembre, quando saranno esaurite le scorte di combustibile, circa 111 mila litri, finanziate da noi e da Human Rights First, una ong nostra partner». Il bilancio dei danni e delle vittime purtroppo viene aggiornato ad ogni ora e si fa sempre più pesante. Nei sei giorni dell’operazione israeliana “Pilastro di difesa” sono centinaia le vittime accertate.


Adriana Zega , una dei cooperanti rimasti bloccati a Gaza negli ultimi giorni, che ha da poco lasciato la Striscia riferisce: "Situazione indescrivibile, siamo di fronte ad attacchi deliberati nei confronti dei civili, ora servono aiuti per i feriti" (v. il reportage). Tra i bambini morti sei facevano parte della famiglia Aldalu sterminata  nel rione Nasser di Gaza City nel bombardamento della palazzina in cui abitava.

Anche le navi da guerra israeliane hanno bombardato la Striscia nelle ore notturne, mentre il primo ministro Benyamin Netanyahu si dice pronto ad ''estendere le operazioni'' militari anche da terra.

"La situazione è estremamente critica. Ogni 10 minuti c’è un attacco aereo, le strade sono completamente vuote  e la gente non si può muovere. Il Ministero della Sanità ha dichiarato che più di 165 tipi di farmaci e materiale medico si stanno esaurendo in tutti i centri medici della Striscia. Le cliniche della Palestinian Medical Relief Society lavorano a pieno ritmo, ma se gli attacchi continueranno non sarà possibile prestare assistenza a tutti i feriti, anche per scarsità di risorse finanziarie. Sulla popolazione di Gaza, chiusa in un territorio da dove è impossibile scappare, incombe una pesantissima crisi umanitaria se gli attacchi non cesseranno al più presto”. Così Aed Yaghi, Direttore di Palestinian Medical Relief Society di Gaza, partner locale dell'organizzazione Terre des Hommes.

La Striscia di Gaza viene definita da Noam Chomsky come "la prigione a cielo aperto più grande del mondo" 
(v.traduzione italiana e testo originale dell'articolo). 

Nella Striscia, che rappresenta l’unico sbocco al mare dei Territori Palestinesi, in poche decine di chilometri quadrati vivono più di un milione e mezzo di palestinesi (per lo più profughi dalle occupazioni israeliane del 67). E’ confinante via terra con Israele che controlla tutti i varchi di accesso e di uscita e a sud con l’Egitto. L’unico accesso alla Striscia che non sia soggetto al controllo di Israele è quindi il valico di Rafah, al confine con l’Egitto, oggi aperto, ma un tempo chiuso da Mubarak. Tuttavia questo valico non porta alla Cisgiordania palestinese, per cui il territorio della Palestina resta letteralmente spaccato in due. Il governo israeliano assedia la Striscia impedendo militarmente ogni contatto tra Gaza e il mondo esterno sia via terra, sia via mare. Dal mare è infatti impossibile arrivare, a causa del blocco navale imposto dalla marina da guerra israeliana. Nel porticciolo di Gaza non si può attraccare proveniendo da acque internazionali, le miglia marine rese disponibili ai pescatori palestinesi sono meno della metà di quelle previste dalle leggi internazionali e ogni tentativo dei pescatori palestinesi di superarle viene respinto dalla marina israeliana. Come si ricorderà nel maggio del 2010 la spedizione umanitaria per rompere l'assedio di Gaza della Freedom Flotilla  si concluse con l’uccisione di nove attivisti turchi da parte delle truppe d’assalto israeliane. 

mg