maggio 28, 2014

PALESTINA. Storici e archeologi israeliani smantellano i miti fondatori della colonizzazione sionista.



Shlomo Sand, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università di Tel Aviv, nel libro "L'invenzione del popolo ebraico"(Pubblicato in Israele nel 2008 e in Italia, da Rizzoli, nel 2010) nega che gli ebrei siano un popolo dall’origine comune discendente da una comunità arcaica unita da legami di sangue e riunificatasi dopo successive diaspore in diversi paesi del mondo. Una costruzione questa, egli dice, che ha fornito fondamento e giustificazione all’impresa di colonizzazione sionista e che è stata resa possibile grazie alla falsificazione della storia da parte della storiografia di stampo nazionalista che prese l’avvio nel XIX secolo. Con rigore e coraggio scientifico Shlomo Sand intraprende un viaggio a ritroso nella storia e nella storiografia ebraiche basandosi su fonti e reperti archeologici per ricostruire la verità. Lo anima la speranza in una società israeliana aperta e multiculturale perché “se il passato della nazione è stato soprattutto un sogno perché non cominciare a sognare un nuovo futuro, prima che il sogno si trasformi in un incubo?”.

In un articolo apparso su Le Monde Diplomatique  (v.la traduzione italiana nel blog tuttouno) all'indomani della pubblicazione del suo libro, Sand illustra brevemente i risultati della sua ricerca. 

I miti fondatori del popolo ebraico

“Qualsiasi Israeliano sa, afferma Sand, che il popolo ebraico esiste da quando ha ricevuto la Torah nel Sinai, e che esso è il discendente diretto ed esclusivo del popolo eletto. Tutti noi siamo convinti che questo popolo, fuggito dall’Egitto, si stabilì “sulla terra promessa”, dove fu fondato il regno glorioso di Davide e di Salomone, diviso in seguito nei regni di Giuda e di Israele. Inoltre nessuno ignora che questo popolo ha conosciuto l’esilio due volte: dopo la distruzione del primo tempio, nel VI° secolo prima di Cristo, quindi in seguito a quella del secondo tempio, nell’anno 70 dopo Cristo.
Più tardi per il popolo ebraico vi furono peregrinazioni durante due mille anni: le sue tribolazioni lo condussero nello Yemen, in Marocco, in Spagna, in Germania, in Polonia e fino in Russia, ma riuscì sempre a preservare i legami di sangue tra le sue Comunità così lontane fra loro. In questo modo la sua unicità non fu alterata.
Alla fine del xx° secolo, le condizioni divennero propizie per il suo ritorno nell’antica patria. Senza il genocidio nazista, milioni di ebrei avrebbero ripopolato naturalmente Eretz Israel (la terra di Israele) poiché da venti secoli essi lo desideravano ardentemente.
Vergine, la Palestina attendeva che il suo popolo originario ritornasse per farla rifiorire. Dato che apparteneva solo ad esso, non a questa minoranza araba, sprovvista di storia, arrivata là per caso. Giuste erano dunque le guerre condotte dal popolo errante per riprendere possesso della sua terra; e criminale l’opposizione violenta della popolazione locale”.

Le smentite  della nuova archeologia

“Nel corso degli anni 1980, afferma Sand,questi miti fondatori vacillano.Le scoperte “della nuova archeologia” contraddicono la possibilità di un grande esodo nel XIII° secolo prima della nostra era. Inoltre Mosè non ha potuto fare uscire gli ebrei dell’Egitto e condurli verso la terra promessa per la semplice ragione che all'epoca questa ...era nelle mani degli Egiziani. Non si trova del resto alcuna traccia di una sommossa di schiavi nell’impero dei faraoni, né una conquista rapida del paese di Canaan perpetrata da elementi stranieri.
Non esiste neppure un segno dei sontuosi regni di Davide e di Salomone. Le scoperte del decennio passato mostrano l’esistenza, all’epoca, di due piccoli regni: Israele, più potente, e Juda, la futura Giudea. Gli abitanti di quest’ultimo regno non subirono nessun esilio nel VI° secolo prima della nostra era: solo l’élite politica ed intellettuale dovette installarsi a Babilonia. Da questo decisivo incontro con i culti persiani sorgerà il monoteismo ebraico.
Quanto all’esilio dell’anno 70 d.C. paradossalmente, questo “evento fondatore” nella storia degli ebrei, da cui la diaspora trae la sua origine, non ha dato luogo alla minima ricerca. Per una semplice ragione: i Romani non hanno mai esiliato nessun popolo su tutto il lato orientale del Mediterraneo. Ad eccezione dei prigionieri ridotti in schiavitù, gli abitanti della giudea continuarono a vivere sulle loro terre, anche dopo la distruzione del secondo tempio”.

Le origini plurali del popolo ebraico

“Il giudaismo, sostiene Sand, fu la prima religione proselitista”. “Gli ebrei hanno sempre formato comunità religiose costituite generalmente da conversioni in diverse regioni del mondo: non rappresentano dunque un “etnos” fautore di un’origine unica che si sarebbe spostato dopo un’erranza di venti secoli”, ma sono discendenti di tribù berbere giudeizzate, dei cittadini del regno ebraico Himyar  nello Yemen e dell’immenso regno kazaro situato tra il Mar Nero e il Mar Caspio etc. etc. Non esiste quindi una sequenza genealogica continua del popolo ebraico come pretende la storiografia asservita all'ideologia dominante sionista."

Etnocrazia e apartheid

La costruzione etnocentrica del giudaismo che costituisce la base della politica identitaria dello Stato di Israele, alimenta, sottolinea Sand, una segregazione che mantiene divisi gli ebrei dai non ebrei – sia Arabi, che immigranti russi e lavoratori immigrati.  “In altre parole, si tratta di una etnocrazia che giustifica la discriminazione rigorosa che pratica nei confronti di una parte dei suoi cittadini invocando il mito della nazione eterna, ricostituita per raccogliersi “sulla terra dei suoi antenati”.

V. anche il commento al libro di Shlomo Sand di Paolo Mieli per il Corriere della Sera, pubblicato nel 2010.




Ze'ev Herzoguno dei più noti professori alla facoltà di archeologia dell'Università di Tel Aviv, Direttore dell'istituto di Archeologia di questa Università, in un articolo pubblicato anni orsono nel settimanale israeliano Haaretz e commentato recentemente da La Repubblica riportava i risultati delle ricerche che negli ultimi decenni lo avevano impegnato insieme a numerosi altri archeologi israeliani.   


"Le nazioni nuove, dice Herzog,  trovano un sostegno nell'archeologia per rafforzare la coesione nazionale e rifondare la nazione. E così l'archeologia, negli anni 50 e 60 diventò in Israele una passione collettiva, per questo io stesso sono diventato archeologo. Così abbiamo scavato e scavato. Ma lentamente sono cominciate ad apparire le prime contraddizioni. Quello che emerge dal lavoro scientifico degli archeologi israeliani che hanno scavato per decenni i siti delle Sacre Scritture è radicalmente diverso da ciò che racconta la Bibbia sulla storia del popolo ebraico."

La grandezza del regno di Davide e Salomone? Solo epica, non reale: Gerusalemme era un villaggio. La traversata del deserto? Dagli scavi non emergono tracce relative ad una traversata del deserto. Le mura di Gerico? Le mura di Gerico all'epoca non esistevano. Le città di Canaan non erano "grandi", né erano fortificate e non avevano "mura che si levavano alte nel cielo.






Non sono dissimili le conclusioni a cui pervengono due dei maggiori archeologi biblici: Israel Finkelstein, professore di Archeologia all’Università di Tel Aviv e Neil Asher Silberman, direttore del Centre for Public Archeolology and Heritage Presentation in Belgio. 

Nel libro "Le tracce di Mosè" (titolo originale: The Bible Unearthed: Archaeology's New Vision of Ancient Israel and the Origin of Its Sacred Texts. ossia "La Bibbia disvelata: nuova visione dell'archeologia dell'antica Israele e dell'origine dei suoi testi sacri"), edito nel 2001 e pubblicato in Italia nel 2011, i due autori illustrano i risultati di decenni di scavi in Israele e in Egitto, Libano e Siria, e il loro significato per la nostra comprensione dell'Antico Testamento.

Scopo dichiarato dell’opera è fornire «una dimostrazione archeologica e storica convincente di una nuova interpretazione della nascita dell’antico Israele»  


Scopriamo così, tra l'altro, che i primi libri della Bibbia furono redatti solo nel settimo secolo a.C, a distanza di centinaia di anni dagli eventi narrati e sottoposti a manipolazioni da parte di numerose generazioni di scribi biblici; non ci sono prove storiche sufficienti della fuga dall'Egitto né della conquista di Canaan; gli israeliti non sarebbero un popolo venuto da fuori a conquistare Canaan, bensì la sua componente nomade definitivamente sedentarizzatasi sull'altopiano e differenziatasi religiosamente.

L’assenza di tracce di esseri umani nella penisola del Sinai nel tardo bronzo smentisce l’esodo. L’arretrata realtà sociale di Gerusalemme e delle zone limitrofe durante la prima età del ferro collide con l’immagine del ricco stato unitario governato da Davide e Salomone intorno al 1000 a.C. 

Il monoteismo di questo popolo, inoltre, affermano i due autori, non può essere fatta risalire all'epoca di Abramo. Il monoteismo non sarebbe stato quindi originario e sottoposto a ricorrenti tentativi di introdurre altre divinità, ma sarebbe stato viceversa imposto (non senza contrasti) da una riforma religiosa intesa a supportare le ambizioni politiche del regno di Giuda, e in particolare del suo re Giosia (639-609 a.C.).

Il documentarista Thierry Ragobert (che ha più volte collaborato in passato con Cousteau) ha realizzato un film documentario in 4 parti, ognuna delle quali di 52 minuti, ispirato al libro, che è stato intitolato “La Bible dévoilée”. Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman vi hanno partecipato nella loro veste di archeologi, assieme a due biblisti, tutti apprezzati specialisti. Il documentario è stato diffuso su France 5 nel dicembre del 2005. Quello postato qui sotto è la versione integrale in lingua spagnola. 


          Questo video è stato rimosso da You Tube. Quindi lo sostituiamo con il seguente
(aggiornamento in data 27.03.2015)






Nachman Ben-Yehuda, professore del Dipartimento di Sociologia e Antropologia dell’Università Ebraica di Gerusalemme, nel libro "Il mito di Masada"di cui è riportato un commento nel sito Storia in Rete, riscrive un mito che ebbe un ruolo fondamentale nel processo di costruzione della nazione di Israele e nella formazione di una nuova identità ebraica.

Narra la leggenda riportata dallo scrittore romano di origine ebraica, Giuseppe Flavio, che nel 73 d.C. 960 ebrei sotto assedio nell’antica fortezza di Masada si sarebbero suicidati (un caso di suicidio di massa in contrasto con gli insegnamenti del Giudaismo...) piuttosto che arrendersi ad una legione romana. 

Il luogo, nei primi anni ’60 del secolo scorso, fu meta di un vero e proprio pellegrinaggio archeologico. L’archeologo Yigael Yadin guidò infatti le ricerche e gli scavi alla testa di un piccolo esercito di volontari mossi dal profondo bisogno di ritrovare le radici guerriere di Israele.

Masada divenne presto un simbolo ideologico per lo Stato di Israele, argomento di film e miniserie, santuario venerato da generazioni di sionisti e soldati israeliani, nonchè, ultimamente, destinazione di una redditizia attrazione turistica.

Senonché i recenti studi di archeologia hanno ridisegnato ampiamente la vicenda.

“Quando esaminiamo a fondo […] la Grande Rivolta e Masada, dice Ben-Yehuda, semplicemente non abbiamo alcun ritratto di eroismo. Al contrario, i racconti narrano la storia di una fatale (e discutibile) rivolta, di un gigantesco fallimento e della distruzione del Secondo Tempio e di Gerusalemme, di massacri di ebrei su larga scala, di differenti fazioni di ebrei che combattevano e si ammazzavano a vicenda.”


Inoltre, l'archeologo Yigael Yadin, prosegue Ben-Yehuda, non si soffermò sull’origine dei resti umani. Per lui erano i “difensori di Masada”. Il governo israeliano, addirittura volle che fossero sepolti con gli onori militari, come poi avvenne nel 1969. Un’ipotesi, tuttavia, indebolita da successive ricerche, che proverebbero, al contrario, che i corpi ritrovati appartenevano a occupanti molto più tardi, di epoca bizantina, oppure a romani della Legione Fretense o della guarnigione che fu presa con l’inganno e massacrata dagli ebrei ribelli di Elazar, un’ipotesi suffragata anche dal ritrovamento nel 1982 di ossa di maiale, animale che, com’è noto, è considerato impuro dagli ebrei.  Inoltre sono stati ritrovati finora solo 28 corpi, dei quali la maggior parte in caverne alla base della montagna. Gli altri 932 cadaveri dove sono?. La rampa costruita dai romani non sarebbe stata alta 375 piedi (125 metri) come preteso da Giuseppe Flavio, ma appena una dozzina di metri, poiché la legione romana sfruttò uno sperone di roccia. Infine  non anni, ma settimane, durò la resistenza di Masada ai romani.





La voce di un archeologo palestinese

L’archeologo palestinese Mahmoud Hawari, professore pres­so la fa­col­tà di Stu­di Orien­ta­li del­l’U­ni­ver­si­tà di Ox­ford, in un’intervista rilasciata in occasione del ciclo di conferenze organizzato dal "Centro Interdipartimentale di Studi Balcanici e Internazionali di Venezia", manifesta la speranza che anche i palestinesi si appassionino al loro patrimonio e denuncia l’uso distorto che dell’ archeologia viene fatto in Israele dove il rigore scientifico cede il passo alla politica e all'ideologia e dove l'archeologia diventa strumento per il consolidamento e l’espansione della politica coloniale sionista.

“Abbiamo la realtà israeliana, dice Hawari, dove gli archeologi operano all’interno della loro realtà politica, geo-politica e ideologica. Mi spiego, lo Stato di Israele è il risultato del movimento sionista: un popolo che cercava un’identità, una terra nazionale, attraverso il processo della colonizzazione ha conquistato -e talvolta comprato- un territorio e, grazie anche alle forze internazionali, ne ha preso il controllo. In questo scenario l’archeologia ha giocato un ruolo preciso che è differente da quello di molti altri posti nel mondo, forse simile ad altri contesti coloniali. La sua funzione è diventata quella di fornire radici al popolo ebraico. Per ottenere questo obiettivo si è concentrata sui siti menzionati nella narrazione biblica”
“Questa si è rivelata, col tempo, un’operazione problematica, afferma Hawari. A segnalare l’esistenza di incongruenze non siamo stati solo noi archeologi palestinesi. Oggi ci sono anche archeologi israeliani, soprattutto giovani, che riscontrano problemi. E vi sono anche un certo numero di studiosi europei e internazionali, storici della Bibbia, teologi, storici e anche archeologi, che denunciano molti problemi in questa disciplina che si chiama "archeologia biblica”. I primi sono stati un gruppo di teologi, la cosiddetta "Scuola di Copenhagen".

“Ormai, per tanti studiosi di tutto il mondo, continua Hawari, l’archeologia biblica è considerata parziale e poco oggettiva, perché in archeologia noi esploriamo, facciamo ricerche, lavoriamo sul campo e poi analizziamo i risultati traendone le conclusioni. Siamo aiutati dalle fonti storiche. Mentre nell’archeologia biblica, si prendono le fonti storiche e si cerca di adattarle ai risultati dello scavo”....”Masada è uno degli esempi più significativi di questo approccio. L’archeologo che ha scavato il sito, Yigael Yadin, non trovando molte prove a supporto del mito, le ha inventate”.


“La stessa cosa è stata fatta a Gerusalemme. Secondo le narrazioni bibliche, Davide e Salomone costruirono il cosiddetto Primo tempio. Bene, dopo centocinquanta anni di ricerche archeologiche a Gerusalemme non è mai stato trovato nulla, tuttavia il sito dell’Antica Gerusalemme viene chiamato dagli israeliani la "città di Davide”. Hanno creato una nuova mitologia, come se Gerusalemme fosse esistita ai tempi di Davide e Salomone. Hanno creato un "parco archeologico" che vorrebbero espandere a discapito delle case palestinesi circostanti. L’area è stata subappaltata ad una organizzazione di estrema destra israeliana che attualmente sta scavando sul sito, per cercare la cosiddetta "città di Davide”...Moltissime famiglie palestinesi sono state allontanate dalla zona ed è già stata pianificata la requisizione di qualcosa come altri ottanta edifici: mille persone perderebbero la loro casa... per creare, in questo modo, "realtà coloniali” sul campo e perseguire una vera pulizia etnica. In questo caso l'archeologia diventa uno strumento nelle mani del colonialismo, a scapito dei palestinesi che vivono in quei luoghi da secoli."




Anche in Italia la storia mitica di Israele è stata oggetto di revisionismo scientifico. Mario Liverani, storico e archeologo delle religioni, Professore ordinario di Storia del Vicino Oriente antico presso l'Università "La Sapienza" di Roma e accademico dei Lincei,  nel libro "Oltre la Bibbia" (Laterza 2003) ricostruisce la storia antica del territorio oggi occupato da Israele secondo i criteri della moderna metodologia storiografica.

“Partendo dalla constatazione che il racconto biblico è frutto di una elaborazione molto tardiva, Liverani riporta i materiali testuali all’epoca della loro redazione, ricostruisce l’evoluzione delle ideologie politiche e religiose in progressione di tempo, inserisce saldamente la storia d’Israele nel suo contesto antico-orientale. Emerge così la ‘storia normale’ dei due piccoli regni di Giuda e d’Israele, analoga a quella di tanti altri piccoli regni locali, e una ‘storia inventata’...".

Vedi anche, su questo blog, Palestina. Capire la questione palestinese, pagina nera del colonialismo

mg




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