dicembre 22, 2015

Islam e Cristianesimo. Festeggiati nello stesso giorno il Mawlid e il Natale 2015





La luna quest’anno ci offre un dono prezioso: la coincidenza tra la festa islamica del Mawlidal-Nabī, la natività del Profeta Maometto, e il Natale cristiano.
 
Il  Mawlid verrà infatti celebrato la sera del 24 dicembre nella totalità del mondo arabo. Non accadeva da 457 anni. Bisogna infatti risalire al 1558 per trovare una configurazione simile.
 
Da giorni i media tunisini, algerini e marocchini ne parlano. La trasmissione “Islam de France” del 27 dicembre sarà dedicata a questo tema. Alcune diocesi, si sono mobilitate attorno all’avvenimento. Cristiani e musulmani, in Belgio come in Maghreb, se ne rallegrano.
 
 
A dirlo è padre Vincent Feroldi, direttore del Servizio nazionale per le relazioni con i musulmani, in un articolo diffuso sul sito della Conferenza episcopale francese (leggi l'articolo nella versione francese e italiana).
 
Le comunità cristiane e musulmane avranno così il cuore in festa nello stesso giorno.  Felici di poter dare ai loro contemporanei un grande segnale del “vivere insieme” in quest’epoca in cui, in nome della religione e di Dio, alcuni predicano odio.
 

dicembre 20, 2015

TERRORISMO. Incontro "il terrorismo non ha religione" Foto e video




Il 31 ottobre scorso a Sanremo, a villa Ormond, presso l’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, si è tenuto l’incontro sul tema : “Il terrorismo non ha religione. Cosa c’è dietro il sedicente Stato Islamico?”, iniziativa, promossa da Casa Africa insieme alla Caritas Diocesana e al Centro Culturale Islamico e di cui vi abbiamo dato notizia su questo blog.
Scusandoci per il ritardo dovuto a problemi tecnici vi proponiamo i video degli interventi e una selezione delle foto scattate dove potete rendervi conto della notevole affluenza di pubblico all’incontro.
VIDEO DELLE RELAZIONI

Hamza Piccardo,

è fondatore dell’Unione Comunità Islamiche in Italia, traduttore ed esegeta del Corano.




Fiorenzo de Molli,

è direttore esecutivo e cofondatore, insieme a don Virginio Colmegna, della Casa della Carità di Milano





Loretta Napoleoni,

economista, è tra le più grandi esperte di terrorismo a livello internazionale. MPhil in terrorismo alla London School of Economics, e’ stata la prima ad analizzare i flussi finanziari del terrorismo ed a studiare l’economia di questo fenomeno. E’ autrice di numerosi saggi, tra cui Terrorismo S.p.A, Economia Canaglia,  Maonomics, "Al Zarqawi - Storia e mito di un proletario giordano" e “Isis lo stato del terrore”.







SELEZIONE FOTOGRAFICA
 




TUNISIA. Il Nobel per la Pace ai rappresentanti della società civile che hanno garantito il successo della rivoluzione dei gelsomini. La cantautrice tunisina Amel Mathlouthi canta al concerto dopo la consegna del premio.


Si dice che la primavera araba abbia fallito, in realtà è stata fatta fallire dagli interessi e dalle strategie geopolitiche di potenze straniere (occidentali e loro alleati medio orientali) che hanno voluto colmare il vuoto di potere lasciato da dittatori cacciati a furor di popolo.
In questo scenario la Tunisia, che nel dicembre del 2010 fu patria della primavera araba, rappresenta un’eccezione.  “Il popolo ha vinto una rivoluzione pacifica che illumina il mondo”, commentò Rached Ghannouchi, Presidente di Ennahda, il partito islamico moderato che era maggioranza all’Assemblea Costituente, all’indomani dell’approvazione della nuova Costituzione del Paese, una delle più avanzate del mondo arabo, approvazione avvenuta con un consenso quasi plebiscitario nel gennaio 2014.
Ai rappresentanti della società civile che hanno collaborato come mediatori per la democratizzazione del Paese garantendo il successo della “rivoluzione dei gelsomini” è stato assegnato quest’anno il premio Nobel per la Pace. Si tratta del “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” costituito da quattro importanti organizzazioni: l’Unione generale tunisina del lavoro, la Confederazione dell’industria del commercio e dell’artigianato, la Lega tunisina per i diritti dell’uomo e l’Ordine nazionale degli avvocati.
Va detto tuttavia che la strada per la democratizzazione del Paese non può dirsi del tutto compiuta e si presenta irta di ostacoli. Ancora oggi  la popolazione è costretta a scendere in piazza per difendere le sue conquiste che sono messe a dura prova da ripetuti e cruenti attacchi di gruppi fondamentalisti che premono dalla vicina Libia, ma che trovano spesso complicità anche all’interno del Paese. Gruppi appoggiati e finanziati da quelle potenze (in particolare Qatar e Arabia Saudita) che desiderose di accrescere in Nordafrica e nel Maghreb la loro influenza all’indomani della rivoluzione erano piombate nel Paese nel tentativo di aprirsi un varco attraverso la religione. Considerazioni queste che hanno portato ultimamente il governo a chiudere 80 moschee che erano andate fuori controllo statale.
Ma oggi il popolo tunisino è orgoglioso di questo riconoscimento internazionale con cui mostra al mondo un nuovo volto dell'Islam e applaude Amel Mathlouthi, cantautrice tunisina, che al concerto organizzato dopo la consegna del premio canta la canzone da lei scritta: “كلمتي حرة, Kelmti Horra, Ma parole est libre”.


Il testo completo e la traduzione italiana della canzone QUI


mg

novembre 29, 2015

NIGERIA. "Accuso le compagnie petrolifere di praticare il genocidio degli Ogoni"



Vent’anni fa, nel novembre del 1995, lo scrittore e poeta nigeriano Ken Saro-Wiwa, da anni schierato contro le attivita' della Shell in Nigeria, fu condannato a morte e impiccato da un tribunale militare insieme altri otto attivisti ogoni.
Quale la sua colpa? Quella di aver usato la sua visibilità di scrittore e di produttore televisivo per puntare i riflettori sulla devastazione ambientale messa in atto dalla Shell nella sua terra, la regione degli Ogoni nel delta del Niger. Ken Saro Wiwa sottolineava che quello che la Shell faceva nella sua terra mai e poi mai sarebbe stato lecito in occidente.
La accusava di razzismo ambientale e di genocidio.
Con il suo impegno e la sua determinazione, Saro-Wiwa fondò il MOSOP, il Movimento per la sopravvivenza del popolo ogoni. Il 4 maggio 1993, in occasione della giornata delle popolazioni indigene proclamata dalle Nazioni Unite, riuscì a far scendere per le strade dell’Ogoniland, oltre 300mila persone. Uomini, donne e bambini che, cantando canzoni di protesta, dichiararono la sussidiaria della Shell in Nigeria persona non grata.
Prima di morire disse: "Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergognosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la devastazione di questa terra" (leggi il suo testamento e la sua poesia).
Nel 2009, quattordici anni dopo la sua morte, il colosso petrolifero anglo-olandese Shell accettò di pagare 15 milioni e mezzo di dollari per evitare di comparire in un clamoroso processo in cui era accusata di complicità con l’ex regime militare nigeriano per quel che riguarda l’esecuzione di Ken Saro-Wiwa e degli altri otto attivisti che si opponevano ai suoi metodi di estrazione del petrolio.
Purtroppo negli ultimi due decenni la situazione nel delta del Niger non sembra essere mutata, come certificano autorevoli studi di organizzazioni internazionali.
Il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'Ambientebasato su 14 mesi di ricerche e pubblicato nell’agosto del 2011, illustra il devastante impatto dell’inquinamento prodotto da mezzo secolo di attività petrolifera sulla vita della popolazione del Delta del Niger.
“L’inquinamento -si legge nel rapporto- è penetrato molto in profondità, più di quanto si poteva immaginare, ed il sottosuolo è avvelenato anche in zone che in superficie sembrano pulite;
almeno 10 comunità bevono acqua contaminata da idrocarburi e in una comunità la popolazione prende l’acqua da pozzi contaminati con benzene, noto cancerogeno, ad un livello che supera di 900 volte quella massima stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità;
l’impatto del petrolio sulla vegetazione di mangrovie è stato disastroso, ha lasciato le piante prive di foglie e steli, con radici rivestite di uno strato di sostanze bituminose spesso anche un centimetro e più; le perdite di petrolio causano frequenti incendi che distruggono la vegetazione e la compromettono anche per gli anni a venire;
l’habitat dei pesci è stato distrutto e molti pescatori e chi si dedicava alla pisci-cultura è stato rovinato da una cappa galleggiante e permanente di olio;
la contaminazione dell’aria derivante dalle operazioni dell’industria petrolifera colpisce circa un milione di persone…
Il rapporto conclude che per pulire l’area saranno necessari 25 o 30 anni e almeno un miliardo di dollari che dovrebbero essere erogati dal governo e dalle compagnie petrolifere, entrambi sotto accusa: il primo per l’inadeguatezza della normativa in materia di attività estrattiva e le seconde per l’inadeguatezza di controlli e manutenzione delle infrastrutture petrolifere”

Nel 2013 la compagnia petrolifera Shell è stata condannata da un tribunale olandese con una sentenza storica a risarcire un contadino le cui terre erano state inondate dal petrolio.

Ma la lotta intrapresa da Ken Saro Wiwa oltre 20 anni fa non è ancora finita.
E’ di pochi giorni fa la notizia che governo nigeriano ha confiscato un’opera d’arte in forma di bus a lui dedicata e che doveva essere insediata nella città di Bori ."The Bus", questo è il nome della scultura in metallo che riproduce a grandezza naturale un autobus stilizzato sui cui lati è inciso il celebre j’accuse dell’attivista: “accuso le compagnie petrolifere di praticare un genocidio contro gli ogoni” (Fonte: unimondo). 
Guarda i video "Il petrolio della Nigeria" nel nostro blog
mg

novembre 11, 2015

"We are many", il documentario sulla protesta globale del 15 febbraio 2003 contro la guerra in Iraq.




Il 15 febbraio 2003 milioni di persone in 800 città del mondo manifestarono contro l’imminente (e poi realizzata) invasione americana dell’Iraq, nella più grande protesta globale della storia.

Dall’Asia, passando per la Russia, fino all’Africa e al Medio Oriente, per arrivare in Europa e poi su, in America, per le strade di New York. Una manifestazione lunga un week end, con le città che si riempivano seguendo i fusi orari.

In Italia 3 milioni di bandiere della pace riempirono il Circo Massimo.

Era in gioco il sistema dei valori universali riconosciuti. L’opinione pubblica mondiale quel giorno rese evidente che la guerra era immorale, ingiusta e illegale. Aveva capito che celava interessi e piani geopolitici che andavano ben al di là delle dichiarazioni rese dai capi di governo.

“No blood for oil” era lo slogan scandito nelle piazze. Il 17 febbraio 2003 il New York Times scrisse che la mobilitazione del 15 lanciava un messaggio chiaro: “Nel mondo esistono due superpotenze: gli Stati Uniti d’America, e l’opinione pubblica mondiale”.

Il 12 settembre 2002 il presidente George W. Bush, davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, aveva accusato il governo di Saddam Hussein di nascondere “armi di distruzione di massa” e definito “necessaria la liberazione del paese”.
L’accusa, di nascondere “armi di distruzione di massa” venne, come è noto, ben presto clamorosamente smentita. Lo stesso Tony Blair, all’epoca alleato di ferro di  George W. Bush, ammette oggi che l'aver abbattuto Saddam Hussein ha contribuito alla creazione dell’ISIS!

Nonostante l’opposizione mondiale, le manifestazioni di massa e le resistenze dell’Onu, il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti – con il sostegno di Gran Bretagna, Australia e Polonia, e affiancati da una ‘coalizione di volenterosi’ composta da 48 paesi, tra cui l’Italia – invadevano l’Iraq.


Il nuovo documentario "We Are Many", del regista inglese di origini iraniane Amir Amirani, candidato all’Oscar nella categoria di miglior documentario, ripercorre quegli eventi e dimostra come quell’apparente fallimento abbia in realtà cambiato per sempre il mondo (Fonte: Pressenza. Continua a leggere).


Sul tema leggi anche 

Africa e Medio Oriente. Scenari di guerra

L'esodo epocale dei rifugiati che marciano verso l'Europa. Ma quali sono le cause?

mg

ottobre 25, 2015

TERRORISMO. Sanremo 31 ottobre, "Il terrorismo non ha religione", incontro promosso da Caritas Diocesana, Casa Africa e Centro Culturale Islamico.



Caritas Diocesana, Casa Africa e Centro Culturale Islamico  invitano a un momento di incontro e di riflessione su un tema, quello del  terrorismo, di grande attualità, ma sulle cui cause non viene fatta la necessaria chiarezza lasciando che l’infondata opinione della sua matrice religiosa prenda il sopravvento. Opinione che alimenta la montante islamofobia che intossica il mondo occidentale con conseguenze nefaste per la civile convivenza e per la pace.
Il 31 ottobre, a Sanremo, a villa Ormond, presso l’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, si terrà l’incontro sul tema : “Il terrorismo non ha religione. Cosa c’è dietro il sedicente Stato Islamico?”.
L’incontro vuole contribuire a far luce sulle reali cause dell'odierno terrorismo, smentirne le radici religiose di qualsiasi tipo e presentare il vero volto dell’Islam, religione di pace, ma presa oggi in ostaggio per giustificare logiche di potere (v. il nostro post "Isis, una barbarie che umilia l'Islam e ne tradisce i valori" ).
Del resto dall'analisi geopolitica delle guerre attuali (anzi, della terza guerra mondiale combattuta a pezzi, come la definisce  papa Francesco) che hanno prodotto lo “stato del terrore” e i vari tipi di terrorismo, emerge  che ben altri sono gli “ideali” che muovono i belligeranti. Come ha detto papa Francesco nell'omelia pronunciata durante la visita al Sacrario dei Caduti della Prima Guerra Mondiale il 13 settembre dello scorso anno,  “.dietro le quinte, ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, e c’è l’industria delle armi...” (v.il nostro post "Scenari di guerra")
L’incontro, introdotto e moderato da Luca Geronico della redazione esteri di Avvenire, vedrà come relatori e relatrici: Hamza Piccardo, fondatore dell’Unione Comunità Islamiche in Italia, traduttore ed esegeta del Corano; don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità di Milano; Loretta Napoleoni, economista, la prima ad analizzare i flussi finanziari del terrorismo ed a studiare l’economia di questo fenomeno. Autrice di numerosi saggi, tra cui “Terrorismo S.p.A” e “Isis lo stato del terrore”. 
I lavori saranno aperti dai saluti di benvenuto di mons. Antonio Suetta, Vescovo della diocesi di Ventimiglia Sanremo, Abdelali Hilali, Imam del Centro Culturale islamico di Sanremo, Alberto Biancheri, Sindaco di Sanremo e Stefania Baldini, Segretaria Generale dell’Istituto Internazionale di Diritto Umanitario.
L’iniziativa rientra nel calendario dell’edizione 2015 dell’“Ottobre di Pace”, una rassegna di eventi realizzata da una rete di associazioni che nel mese di ottobre di ciascun anno vuole celebrare la proclamazione di “Sanremo città internazionale della pace e dei diritti umani”, avvenuta nel 2006.





settembre 16, 2015

MIGRAZIONI. L'esodo epocale dei rifugiati che "marciano con la morte addosso"verso l'Europa . Ma quali sono le cause?


Sono oltre 500.000 i rifugiati entrati nell'UE da inizio anno.  156.000 soltanto nel mese di agosto. Mezzo milione di ingressi in otto mesi è già quasi il doppio rispetto ai 280.000 migranti che erano arrivati nell'UE in tutto il 2014.
Lo ha resto noto l'agenzia per la gestione delle frontiere esterne dell'UE, FRONTEX.
In base alle conclusioni del rapporto dell'ACNUR, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, del luglio scorso, la stragrande maggioranza delle persone che hanno attraversato il Mediterraneo verso l'Europa sono fuggiti da guerre, conflitti o persecuzioni. La crisi nel Mediterraneo è di conseguenza soprattutto una crisi di rifugiati.
Un terzo degli uomini, donne e bambini che sono arrivati ​​via mare in Italia o in Grecia provengono dalla Siria. Il secondo e terzo dei principali paesi di provenienza sono l'Afghanistan e l'Eritrea.
Il rapporto mostra che la rotta del Mediterraneo orientaledalla Turchia verso la Grecia, ha ormai superato quella del Mediterraneo centrale (dal nord Africa verso l'Italia) come la principale fonte di arrivi via mare.


"Mentre l'Europa discute sulle soluzioni migliori per affrontare la crisi nel Mediterraneo, dobbiamo essere chiari: la maggior parte delle persone che arrivano via mare in Europa sono rifugiati, in cerca di protezione da guerre e persecuzioni", ha dichiarato António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per Rifugiati.
In un articolo pubblicato su Il Sole 24 ore il 4 settembre scorso, Alberto Negri mette a nudo le cause e le responsabilità di questo esodo epocale di centinaia di migliaia di profughi che “marciano con la morte addosso” verso l'Europa.

da foto gallery di Panorama


Le analisi sui profughi si fermano al fenomeno dei rifugiati e non alle radici del problema: le guerre intorno al Mediterraneo che sono arrivate dentro l'Europa scuotendone le fondamenta.... La causa principale della crisi migratoria è nel caos e nella destabilizzazione che gli Stati Uniti e l'Europa con i loro alleati regionali hanno contribuito a provocare in Libia, Siria, Iraq, Yemen, Somalia, Afghanistan. Tra questi pessimi alleati _ ma ottimi clienti delle nostre industrie belliche _ si distinguono le monarchie del Golfo: per abbattere Assad hanno appoggiato i peggiori jihadisti ma non prendono in casa neppure un profugo siriano. L'Europa affronta adesso con spirito più fattivo l'emergenza dei rifugiati ma esita ad analizzarne le cause perché coinvolgono pesantemente le responsabilità occidentali. Accogliendoli gli europei in un certo senso rimediano ai loro micidiali errori: anche questo racconta con il suo lamento la risacca dei profughi del Levante”. Leggi tutto

settembre 15, 2015

LIBANO. La dichiarazione di Beirut. Libertà di fede, di educazione e di opinione citando il Corano




Libertà di fede, di educazione e di opinione difese citando il Corano sono alla base dello Stato di diritto, che non deve essere uno Stato religioso. L’organo di riferimento dei sunniti del Libano condanna senza appello la violenza in nome di Dio. 



Beirut (AsiaNews) – Non si può costringere alla conversione né perseguire chi ha una fede diversa dalla propria. L’islam vieta di condurre una guerra contro chi è diverso, scacciarlo dalle propria terre e limitarne la libertà in nome della religione. Beirut si fa portavoce dell’islam liberale che vuole la convivenza con i cristiani, di cui è ricca la tradizione del Libano. Queste sono alcune delle importanti affermazioni contenute nella “Dichiarazione di Beirut sulla libertà religiosa”, pubblicato dalla Mokassed di Beirut, associazione sunnita vicina a Dar el-Fatwa. Il messaggio è stato preparato il 20 giugno scorso e pubblicato pochi giorni fa. 

La dichiarazione è volta a mettere nero su bianco la posizione dei musulmani del Libano nei confronti della violenza compiuta in nome della loro religione. In essa viene chiarito quali siano gli insegnamenti fondamentali dell’islam e quando, invece, esso viene “preso in ostaggio” per giustificare logiche di potere. 

Testo integrale della Dichiarazione. Traduzione in italiano a cura di AsiaNews.

La dichiarazione di Beirut sulle libertà religiose

Il Libano, gli altri Paesi Arabi e i musulmani sono oggi in tumulto a causa della religione, del settarismo e del confessionalismo. Le persone sono uccise, escluse della propria casa e della dignità.
In questa situazione anormale, la religione è sfruttata per motivi politici, sacrificando invano persone, Paesi e civiltà. Questo sta provocando il sorgere dell’islamofobia in varie parti del mondo. La convivenza e i valori ereditati dalla nostra civiltà, come pure il futuro dei nostri giovani, sono seriamente minacciate. Molte iniziative arabe e islamiche hanno tentato di porre rimedio, e perfino combattere questa situazione, per correggere e rigettare la violenza perpetrata in nome della religione.
L’Associazione filantropica islamica Makassed di Beirut, che è impegnata nei valori educativi, islamici e nazionali, si trova obbligata a sostenere e diffondere la cultura della tolleranza e della ragione (enlightenment). Essa si ritiene responsabile nel costruire una società dove le persone possono vivere insieme in libertà, in una società civile e di progresso che può affrontare i pericoli che minacciano la nazione, i suoi cittadini, i valori morali e religiosi.
La Makassed, in quanto organizzazione araba e nazionale, è chiamata a opporsi all’estremismo e alla violenza, e per questo annuncia la Dichiarazione di Beirut sulle libertà religiose, confermando i valori tradizionale che sono gli illuminati valori di Beirut e del Libano, per salvaguardare la dignità di ogni cittadino ed essere umano. Perciò, la Makassed spera di salvare e proteggere la religione da coloro che tentano di prenderla in ostaggio con falsi slogan.

1. La libertà di fede, di culto ed educazione

La fede religiosa è una libera scelta e un libero impegno. È un diritto di ogni persona. Il Sacro Corano inequivocabilmente protegge questo diritto quando dice:
“Non c’è costrizione nella religione. L’orientamento giusto è stato distinto dall’errore” (Al-Baqara 256).
E in un altro versetto:
“Quindi ricordati! (rivolto al Profeta, la pace sia con lui) Perché tu non sei che un promemoria; tu non hai influenza su di loro” (Al-Ghashiyah 22).
Per più di 13 secoli, la nostra terra ha visto moschee, chiese e luoghi di culto costruiti fianco a fianco. Noi vogliamo che questa eredità di libertà, di collaborazione e di vita comune rimanga profondamente salda nella nostra terra, nelle nostre città e tra i nostri giovani. La nostra religione e tradizioni nazionali, le nostre alleanze e le nostre leggi ci guidano ad aderire fermamente a questi principi.
Negare il diritto delle comunità cristiane di esercitare la loro libertà religiosa e distruggere le loro chiese, i loro monasteri e istituti educativi e sociali, è contrario agli insegnamenti dell’islam ed è una violazione palese dei suoi principi, visto che questi abusi sono compiuti nel suo nome.
Di conseguenza, noi proclamiamo, dal punto di vista islamico, umanitario e nazionale, che noi siamo assolutamente contrari a questi atti distruttivi e facciamo appello ai nostri compatrioti cristiani perché resistano agli atti di terrore che cercano di cacciarli dalla loro terra e li sollecitiamo a rimanere attaccati e radicati in profondità a queste terre, insieme ai loro fratelli musulmani, godendo insieme a loro degli stessi diritti e doveri. In questo modo loro, con i compatrioti musulmani, salvaguarderanno i nostri valori comuni e la nostra convivenza in una comunità multireligiosa e onnicomprensiva.
La nostra eredità comune, come credenti in Dio, ci impone di rigettare la costrizione in ambito di fede, di rispettare la libertà intellettuale e di accettare le differenze fra gli uomini come un espressione del volere di Dio. Solo Dio può giudicare dli uomini laddove essi differiscono.

2. Il diritto alla dignità

Questo è un diritto proclamato dal testo coranico. Il Sacro Corano dice:
“Abbiamo onorato la progenie di Abramo e l’abbiamo portata per terra e per mare. Li abbiamo rifocillati di prelibatezze e li abbiamo  preferiti di gran lunga tra molti che abbiamo creato” (Al-Israa’ 17:70).
Perciò, l’uomo ha dignità in quanto essere umano. Il fondamento della sua dignità è il fatto che è stato dotato di ragione, libertà di credere, d’opinione e d’espressione. Egli è responsabile in modo diretto davanti a Dio per l’esercizio delle sue libertà. È diritto dell’uomo godere di protezione della sua libertà da parte dell’autorità al governo; nessuno ha il diritto di giudicare le persone per la loro fede e di perseguitarle e discriminarle per ragioni religiose o etniche. Dio l’Altissimo dice:
“Non dire ad alcuno che si sottomette a te in pace: ‘Tu non sei un credente’, cercando così il bottino della vita presente” (Al – Nisa’ 4:94).
“Tutta l’umanità è la progenie di Adamo”, ha detto il Profeta Maometto (la pace sia con lui) nell’ultimo sermone. Egli ha anche detto “tutti gli esseri umani sono uguali”.
Il Sacro Corano riconosce solo due ragioni per una guerra difensiva: la persecuzione religiosa e l’espulsione dalla propria terra. Il Sacro Corano dice:
“Riguardo a coloro che non ti hanno combattuto per la tua religione, che non ti hanno cacciato dalle tue case, Dio non vi vieta di trattare loro in modo onorevole e di agire con bontà nei loro confronti, perché Dio ama coloro che agiscono con onestà” (Al-Mumtahinah 60:8).
Agli occhi del Corano, nessuno ha il diritto di fare la guerra ad una persona a causa del suo credo o ad un popolo o una comunità per cacciarli dalle loro case, o privarli della loro terra. È perciò nostro dovere unire gli sforzi per proteggere le libertà religiose e nazionali, rispettare la dignità umana per proteggere la convivenza sulla base della giustizia e dell’amore.

3. Il diritto alla differenza, il diritto alla pluralità

Il diritto ad essere diversi è confermato da Dio che dice:
“Oh umanità, noi ti abbiamo creata maschio e femmina, e formata in nazioni e tribù così che vi possiate conoscere. Agli occhi di Dio, i più nobili in mezzo a voi sono i più pii” (Le Stanze 49:13).
Le differenze tra le società e la loro pluralità, la libertà individuale e comunitaria tra le società e i gruppi sono un fenomeno naturale. Conoscere e riconoscersi gli uni gli altri è un comando divino. Mai le società umane sono state una o la stessa nel loro atteggiamento e nel loro modo di vivere, o anche nel loro credo religioso.

4. Il diritto a partecipare alla vita politica e pubblica

Il diritto di partecipare alla vita politica e pubblica è fondato sui principi dell’uguaglianza, della libertà di scelta e della responsabilità individuale. L’islam, come dichiara il documento di Al-Azhar, non impone uno specifico regime politico e non approva uno Stato religioso. Il sistema politico, in qualunque società, è la creazione della gente in quella società, musulmani e non musulmani. Secondo gli accordi comuni come cittadini, il popolo sceglie il proprio sistema di governo, ed essi lo cambiano secondo la loro libera volontà secondo i loro migliori interessi. Perciò, considerare uno specifico sistema politico come sacro o infallibile, o come una materia di fede religiosa, è un fraintendimento della religione e una imposizione sulla gente, che sia musulmana o non musulmana. Tutte le persone sono custodite dallo Stato nazionale che essi hanno creato insieme, ed essi rispettano la costituzione e le leggi che li considera uguali in diritti e doveri.

5. Il nostro impegno per le alleanze arabe e internazionali

La cultura araba ha avuto una civiltà gloriosa e pluralista, che ha contribuito al progresso del mondo. Essa ha creato Stati e sistemi di governo e istituzioni. La religione non è mai stata un ostacolo a questi traguardi. Se noi oggi ci volgiamo contro questa cultura in nome della religione, noi tradiamo la grande eredità del passato e la nostra costante lotta per il progresso e la sicurezza. Noi siamo impegnati a sostenere la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e le successive Dichiarazioni arabe. L’ultima di queste è la dichiarazione di al-Azhar riguardo le libertà fondamentali.
Noi siamo parte di questo mondo, e aspiriamo a essere positivamente partecipi del suo progresso. Non siamo spaventati dal resto del mondo e non vogliamo essere una fonte di paura per gli altri. Non vogliamo isolarci dal resto del mondo e non vogliamo  che il mondo si isoli da noi. Ricordiamo che i musulmani costituiscono un quinto della popolazione mondiale, e un terzo di essi vive in Paesi non musulmani.

6. Il nostro impegno verso il Libano perché sia una patria e uno Stato democratico unificato

Basata sui valori di libertà, libera associazione e vita sociale comune, la formula libanese dello Stato ha creato un sistema consensuale, che garantisce le libertà di base e ha condotto ad uno Stato fiorente. Certo, noi riconosciamo che il sistema libanese di governo soffre di grossi problemi, ma questo sistema rimane aperto a miglioramenti, nella misura in cui la libertà politica e religiosa sono garantite e la volontà del popolo è salvaguardata. I pensatori e intellettuali libanesi musulmani, molti dei quali sono laureati alla Makassed, hanno contribuito a questa cultura di libertà e a questo pensiero islamico liberale. Essi si sono uniti ad altri intellettuali libanesi nel tracciare l’Alleanza nazionale, gli accordi di  Taef e i Dieci principi che Dar Al Fatwa ha proclamato nel 1983. Quest’ultimo documento afferma i principi della cittadinanza comune, del governo civile, delle libertà civili e della lealtà al Libano come Stato sovrano e patria per tutti i cittadini. Noi vogliamo che il Libano rimanga unito e democratico, protettore delle libertà e dei diritti di tutti i cittadini e un modello di società plurale e libera. Il Libano sarà quindi un esempio da seguire per tutti i regimi arabi che stanno soffrendo profondamente a causa dell’estremismo e dell’intolleranza e dei crimini commessi in nome della religione, che cacciano le persone fuori delle proprie case, ignorando i principi della convivenza e della dignità umana. Il modello libanese sarà [uno] di tolleranza, di non violenza e di umanesimo.
  
7. Il ruolo e l’impegno della Makassed

La Makassed rimarrà fedele alla sua missione e ai suoi principi come sono stati definiti 137 anni fa. Esso si impegna per la libertà di educazione e l’insegnamento della tolleranza religiosa. La Makassed ha insegnato l’islam a numerose generazioni tramite rinomati insegnanti proveniente dal Libano e da altri Paesi arabi.
Noi faremo rivivere questa tradizione e riformeremo l’insegnamento dell’islam in stretta collaborazione con Dar Al Fatwa, e beneficeremo dai recenti metodi innovativi di insegnamento di materie civiche. La Makassed è sempre stato un faro di tolleranza nell’educazione civica e religiosa. Col volere di Dio, rimarrà tale.
Beirut è stata “la Madre delle leggi” e una casa per la libertà e la creatività. Allo stesso modo in cui ha partecipato alla creazione dello Stato moderno e al progresso della libertà, essa si sforza di rimanere tale, insieme coi musulmani, i non musulmani, con la Makassed, in questi tempi difficili per gli Arabi e per il Libano. Beirut rimarrà la torcia dell’illuminismo musulmano, del progresso arabo e della pace umanitaria.

Viva Beirut, Viva la Makassed, Viva il Libano!

Da Asianews.it

Per approfondire:

OPI, Osservatorio di Politica Internazionale “...il Libano un unicuum nel contesto regionale... una sorta di terza via tra il modello laico occidentale e quello teocratico islamico...”.

agosto 08, 2015

MIGRAZIONI. Sono già oltre 2mila i migranti morti quest'anno nel Mediterraneo





L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha reso noto che dall’inizio dell’anno ad oggi sono oltre 2mila i migranti morti nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste europee. Un dato in forte crescita rispetto allo stesso periodo dello scorso anno in cui furono 1.674 i migranti deceduti e, con tutta probabilità, destinato a superare le 3.279 unità del 2014.

Ma questi numeri potrebbero essere ancora più elevati, avvisa l’OIM, dato che è impossibile avere dati precisi e vi è la possibilità che vi siano imbarcazioni che sono affondate senza essere state soccorse o persone scomparse in mare che non si conosceranno mai più.

Dall’inizio dell’anno sono circa 188mila i migranti soccorsi nel Mediterraneo, grazie al potenziamento dell’operazione Triton, arrivati per metà in Italia (97.000) e per metà in Grecia (90.500).

Le perdite maggiori si sono registrate tra coloro che cercavano di raggiungere l’Italia (1.930 migranti deceduti, a fronte dei 60 deceduti tra quelli che cercavano di raggiungere le coste greche) a causa delle turbolenze e delle correnti che si registrano nel  Canale di Sicilia nei 145 km che separano le coste libiche da quelle italiane.


La chiusura delle frontiere terrestri del Nord Europa e le politiche dei membri dell’UE fanno sì che molti migranti scelgano la rotta più pericolosa del Mediterraneo. 

Chi respinge le domande di asilo nell’UE? Percentuali delle risposte negative e positive . Dati Eurostat 2014

Fonte euronews

mg


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luglio 31, 2015

UNIONE EUROPEA, ostaggio del colonialismo finanziario


In questo importante e chiaro articolo Gustavo Zagrebelski riflette sulla tragica vicenda della "riduzione in schiavitù" da parte del capitale finanziario della Grecia. Un paese ridotto sul lastrico al pari di un qualsiasi debitore privato fallito e costretto a dare in garanzia ai creditori il suo stesso territorio nazionale.

Un potere, quello del capitale finanziarioche ha allargato i suoi tentacoli su tutte le attività economiche a livello planetario incrementando l'economia criminale, il terrorismo, i conflitti e speculando sulla pace nel mondo.  



  
 "Si parla di fallimento dello Stato come di cosa ovvia. Oggi, è “quasi” toccato ai Greci, domani chissà. È un concetto sconvolgente, che contraddice le categorie del diritto pubblico formatesi intorno all’idea dello Stato. Esso poteva contrarre debiti che doveva onorare. Ma poteva farlo secondo la sostenibilità dei suoi conti. Non era un contraente come tutti gli altri. Incorreva, sì, in crisi finanziarie che lo mettevano in difficoltà. Ma aveva, per definizione, il diritto all’ultima parola. Poteva, ad esempio, aumentare il prelievo fiscale, ridurre o “consolidare” il debito, oppure stampare carta moneta: la zecca era organo vitale dello Stato, tanto quanto l’esercito. Come tutte le costruzioni umane, anche questa poteva disintegrarsi e venire alla fine. Era il “dio in terra”, ma pur sempre un “dio mortale”, secondo l’espressione di Thomas Hobbes. Tuttavia, le ragioni della sua morte erano tutte di diritto pubblico: lotte intestine, o sconfitte in guerra. Non erano ragioni di diritto commerciale, cioè di diritto privato.

Se oggi diciamo che lo Stato può fallire, è perché il suo attributo fondamentale — la sovranità — è venuto a mancare. Di fronte a lui si erge un potere che non solo lo può condizionare, ma lo può spodestare. Lo Stato china la testa di fronte a una nuova sovranità, la sovranità dei creditori.

Esattamente come è per le società commerciali. I creditori esigono il pagamento dei loro crediti e, se il debitore è insolvente, possono aggredire lui e quello che resta del suo patrimonio e spartirselo tra loro.

Nell’Antichità, i debitori insolventi potevano essere messi sul lastrico e perfino ridotti in schiavitù dai creditori insoddisfatti. Lo Stato, quando fallisce, si trova in condizione analoga. Tanto più aumenta la sua “esposizione”, tanto meno è in condizione di resistere alle richieste espropriative dei creditori, anche le più pesanti e inimmaginabili. Abbiamo sorriso di Totò che vendeva ai turisti la Fontana di Trevi. La realtà supera la fantasia, se è vero che, tra le possibili garanzie dello Stato debitore, i creditori considerano imprese pubbliche, isole, porti, ferrovie, monumenti, ecc. Quanto sarà valutato il Partenone e, forse, per l’appunto la Fontana di Trevi?

Le armi dei creditori sono la promessa di salvezza e la minaccia di rovina, la carota e il bastone. Lo scenario immediato è la fine della “liquidità” degli istituti di credito, il panico tra i risparmiatori, l’impossibilità per lo Stato di pagare debiti, stipendi, pensioni, la disperazione dilagante; a media scadenza, chiusure e fallimenti d’imprese, disoccupazione, miseria. Chi potrebbe resistere alla forza intimidatrice di una simile catastrofe annunciata e alla forza seduttiva di qualunque prospettiva salvifica, fosse anche accompagnata da condizioni iugulatorie?

È quanto è toccato alla Grecia, con somma drammaticità ed evidenza. Il premier ha chiesto al Parlamento il voto a favore di un insieme di provvedimenti impostigli, ch'egli stesso dichiarava essere contrari al programma politico col quale si era presentato alle elezioni, vincendole. Non s’era mai vista così chiara, in Europa, una tale contraddizione. Egli era lì in base alla forza conferitagli dal suo popolo, confermata in referendum, e doveva smentire se stesso e riconoscere l’esistenza d’un’altra forza, alla quale non poteva resistere. L’imposizione, che lo Spiegel ha definito “catalogo delle atrocità”, comprende cose come le proprietà pubbliche, le misure di alleggerimento del malessere sociale, l’abolizione della contrattazione collettiva, il licenziamento di gruppo, le ipoteche su beni dello Stato, le aliquote Iva, le pensioni, perfino il codice di procedura civile (per rendere più efficace la liquidazione dei beni dei debitori insolventi).

S’è detto, con una certa superficialità: niente di sconvolgente. La Grecia, come tutti i Paesi dell’Unione Europea, ha da tempo accettato limiti alla sua sovranità a favore dell’Europa. La prova cui è sottoposta la Grecia sarebbe perciò una vittoria dell’Europa.

Basta dirle, cose come queste, per comprenderne l’assurdità. E non perché alcuni Stati abbiano fatto la parte del leone (la Germania, gli Stati baltici, ecc.) e altri della pecora, ma per una ragione più profonda: di fronte alla Grecia non c’era l’Europa, ma la finanza che si fa beffe di formalità e competenze codificate. Chi, in Europa, ha preso decisioni non ha agito “in quanto Europa”, ma in quanto rappresentante di interessi finanziari. Al capezzale della Grecia erano in tanti: Banca centrale europea (istituzione indipendente con compiti di equilibrio finanziario della “zona euro”), Fondo monetario internazionale (che si occupa del salvataggio di Stati a rischio in tutto il mondo) e anche — anche — organi vari dell’Europa (Eurogruppo, Eurosummit, il Consiglio europeo). Singoli capi degli esecutivi dei Paesi economicamente più “pesanti”, a tu per tu tra loro (Germania e Francia) hanno svolto la parte decisiva, senza alcun “mandato europeo”. Le “sanzioni” alla fine deliberate non trovano alcun fondamento nei Trattati. La “troika”, che ora ritorna in Grecia come commissaria ad acta, non è organo dell’Europa, è organo de facto degli interessi finanziari che s’intrecciano tra Commissione europea, Bce e Fmi. L’Europa come tale è stata totalmente assente. La condizione della Grecia non è quella di chi si è vista limitare la sovranità perché l’ha ceduta: è quella di chi ha subito il colpo d’un sovrano di tutt’altra specie — che qualcuno ha definito "colonialista finanziario"— con tante teste.




Pecunia regina mundi. L’erosione della sovranità statale a opera della finanza sembra dare ragione a questa tragica massima. Perché tragica? Innanzitutto, perché la finanza, come lo spirito, soffia dove vuole, irresponsabile di fronte alle comunità umane su cui scarica la sua forza, investendo o disinvestendo risorse, senz'altra guida se non l’accrescimento della sua potenza. Agli Stati indebitati e insolventi si può rimproverare il loro spirito di cicale. Ma il potere finanziario, nel suo insieme, vive di indebitamenti e accreditamenti ed è perciò amico delle cicale. Senza cicale e solo con formiche non potrebbe esistere. Onde, è vuoto moralismo il rimprovero d’essersi indebitati, quando proprio i creditori sono interessati al loro indebitamento. In secondo luogo, l’erosione della sovranità è la resa alla legge dei più forti".



Fonte Inchiestaonline. Articolo su La Repubblica del 28/07/2015.

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